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lunedì 21 settembre 2009

Statisticamente si mangia un pollo a testa,

nella situazione in cui il 50% della popolazione mangia due polli a testa e il rimanente 50% non ne mangia affatto, pur sentendone l’odore.

Il decreto salva-precari ha sentito il bisogno di tutelare una parte della popolazione dei docenti precari, che, per effetto della crisi economica in atto, non riceveranno nessuna proposta di assunzione per l’insegnamento nella scuola pubblica in questo già avviato anno scolastico. La crisi economica non c’entra affatto; in realtà, è la sconclusionata azione del Ministero d’Istruzione, che da un lato si fa carico di diminuire drasticamente il personale docente precario, mentre dall’altro lato prende provvedimenti non in linea con gli insegnamenti psico-pedagogici, che sono alla base del biennio SSIS e saranno alla base della futura modalità di specializzazione del personale docente.

Nota. Perché non pensare seriamente a fornire il medesimo tipo di specializzazione per tutti gli altri componenti che interagiscono con le istituzioni scolastiche?

Una delle cause maggiori è la politica di aumentare il numero medio, su base nazionale, di studenti per classe; come si è potuto constatare quest’anno, un aumento dello 0,4 del rapporto medio studenti/docente ha comportato l’esubero di personale docente tra i titolari della dotazione organica provinciale [La roulette dei posti disponibili], quindi attaccando decisamente quel comparto della Pubblica Amministrazione che, a ragion veduta, dovrebbe essere il meno esposto alla crisi economica: costoro hanno la garanzia dello Stato sul proprio stato lavorativo. Ai titolari, ovviamente, per forza di cose, va il primo pensiero dello Stato che assicurerà a loro, oltre alla stabilità economica, anche le cattedre ove insegnare; la conseguenza è la drastica riduzione del numero di posti disponibili per i docenti precari. A questi pensa la norma salva-precari, che non è ancora attiva per decreto sebbene l’anno scolastico sia già iniziato.

Peccato che ciò che si vuole fare è metà di quello che serve.

Se da un lato si dà una corsi preferenziale a coloro che l’anno scorso hanno lavorato e che quest’anno rimangono a secco: sembra un rivisitazione della norma di legge per quegli insegnanti che sceglievano una scuola nella comunità montana, ai quali il Comune provvedeva con un alloggio e la possibilità di riscattarselo a condizioni vanataggiose e lo Stato riconosceva loro il diritto di prelazione su quella cattedra a fronte di qualsiasi altro avente diritto, assodata una permanenza minima di tre anni. I pensieri ancestrali rimangono nella nostra mente e vengono a galla primo o poi. Una corsia preferenziale per le supplenze brevi, si è detto -ma ancora non scritto…
Si è già parlato di questo in un post precedente, mettendo in luce che il pensiero di ognuno va alla copertura di cattedre a orario competo di diciotto ore e non alla copertura di cattedre su spezzoni d’orario. Che cosa deve fare l’insegnante che si trova a fare supplenza lontano da casa su uno spezzone d’orario da sei/nove ore? Converrebbe rifiutare per acchiappare l’indennità di disoccupazione? Dunque, a che cosa pensa il Ministero d’Istruzione quando emana nuove disposizioni? Sembra che sia avulso dalla realtà scolastica, che, invece, dovrebbe essere il suo unico pensiero.
Già, l’indennità di disoccupazione è arrivata anche per i precari che lavorano per lo Stato…

Altro pensiero ancestrale annidato nei meandri del nostro cervello è l’assistenzialismo. Inutile rimandare questa caratteristica a indirizzi politici ben precisi, fa parte di ognuno di noi: l’indennità di disoccupazione va, appunto, in questa direzione e indica la naturale tendenza dell’indirizzo politico dei governi, che via via si succedono, a fondarsi sull’assistenzialismo passivo, quell’assistenzialismo che non porta alcun contributo alla società. Quale che sia l’estrazione ideologica, l’assistenzialismo finisce con l’identificarsi con la totale assenza di idee, d’interventi e di misure da prendere quando si è chiamati a risolvere un problema contingente: meglio congelare la situazione fino a tempi nuovi. nel frattempo, cresce al sapesa pubblica in quel settore, senza che quel sacrosanto, per carità, esborso economico/finanziario comporti un contributo per la società.
La norma salva-precari prevede un’indennità di disoccupazione dallo Stato per coloro a cui lo Stato stesso volontariamente ha tolto l’occupazione. Nel merito della popolazione docente precaria: perché i beneficiari dell’indennità di disoccupazione non sono comunque utilizzati nell’ambito scolastico?

Ancora sulla norma salva precari. L’incompetenza, che deriva dalla scarsità di vedute di coloro che sono chiamati a intervenire nella situaizone precaria in cui versa il personale precario del comparto Scuola, non ha previsto un’ulteriore misura per i precari: perché si dà modo di fare il pieno ai titolari, che aggiungono alla cattedra completa altre ore di insegnamento, togliendo la possibilità a coloro che hanno conseguito uno spezzone d’orario da cinquecento o novecento euro mensili di poter fare completamento d’orario?

Domanda. Se gli esponenti a guida dello Stato dicono di far fatica a immaginarsi come vivere con mille euro al mese, al di sotto della soglia di povertà indicata dalla Banca d’Italia, come mai si danno ottocento euro al mese a coloro che sono in cassintegrazione a zero ore? L’analogia è presto fatta, considerando l’intrinseca indole cristiana che pervade le basi su cui poggia lo Stato Italiano: con la pretesa di aver bene interpretato il seguente passo «Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta;»[Mt 6: 3], da una mano allunga gli spezzoni d’orario da seicento euro a salire al mese ai docenti precari, mentre, con l’altra mano, pubblicizza il proprio impegno a voler dare dignità economica a coloro che vivono con meno di mille euro al mese. Ne consegue un’altra domanda.

Altra domanda. Come mai lo Stato non recepisce le indicazioni della Banca d’Italia e propone contratti di lavoro da seicento o novecenti euro mensili ai docenti precari? Perché, invece, non si riconosce loro la piena integrazione a supporto dell’istituzione scolastica in cui verranno inseriti, impiegandoli nelle attività consone alla didattica fino alle diciotto ore? Le attività integrative sono ore di lavoro degne. La risposta è semplice: mancano i soldi e la conferma sta tutta nella 133/2008, Capo II (Contenimento della spesa per il pubblico impiego), art.64 (Disposizioni in materia di organizzazione scolastica), Comma 6), a cui si aggrega il Comma 1 per l’ulteriore aumento di un punto in media del rapporto alunno/docente da raggiungersi nell’anno 2011 [Misure contro la crisi nella Scuola: alla fine sarà solo guerra tra poveri].


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